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La ricerca della grandezza: da Agnelli ad Allegri. Dalla scrivania al campo.

Scritto da Fabio Villani  | 
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La rivoluzione che sta portando avanti Andrea Agnelli non riguarda solo le scrivanie, i quadri dirigenziali, le battaglie politichedell'ECA per una rivoluzione tecnologica (il VAR) o l'arrivo alla tanto agognata Superlega Europea.

La rivoluzione di Andrea Agnelli, il chiaro messaggio della proprietà, oggi pare essere stato recepito anche dall'area sportiva della società.
Parliamoci chiaro e siamo onesti con noi stessi: in questi anni ci siamo tolti delle belle soddisfazioni, abbiamo vinto e sbeffeggiato tutti i nostri rivali italiani, ci siamo presi con le unghie e con i denti due finali di Champions e accarezzato addirittura il sogno di poterne portare a casa una.
Ma nonostante tutto questo c'è stato sempre il centesimo che mancava per formare il tanto agognato euro. 
Da Berlino in poi abbiamo vissuto una fase che oserei definire un misto tra il “vorrei ma non posso” e il “potrei ma non voglio”.

Da noi sono passati tantissimi grandi giocatori (da Vidal, Tevez, Pirlo a monsieur Pogba, Dani Alves e Higuain) ma non abbiamo mai avuto quel singolo giocatore su cui puoi sapere già in partenza di poter contare nel momento decisivo nella serata decisiva. Quel giocatore globalmente riconosciuto come uno dei primi tre della pista.

Ma, soprattutto, credo che negli anni abbiamo più tirato a campare con le nostre convizioni, le nostre paure e il nostro modo di approcciarci al calcio tutto all'italiana: attenti, guardinghi nel più cattolico rispetto dell'avversario anche quando l'avversario non lo meritava affatto o quando potevamo non complicarci la vita perchè troppo più forti rispetto alle concorrenti. Timorosi quando l'appuntamento (parlo dell'ultima finale) richiedeva un pizzico di sana strafottenza in più. Quella che ogni tanto Allegri chiama “sana follia”.

Quante volte abbiamo discusso sulla cantilena ripetitiva dell'importanza impareggiabile della conquista del quinto, sesto, settimo scudetto consecutivo come input primario dato dalla società ad inizio stagione?

Da quel viaggio di Andrea Agnelli, da Pisa verso la Grecia è cambiato veramente tutto.
Siamo la squadra di Cristiano Ronaldo, siamo primi a punteggio pieno in campionato dopo aver spazzato via il Napoli nello scontro diretto dimostrando che anche noi possiamo trasformare la Serie A in una neo-Bundesliga.
Siamo primi a punteggio pieno anche in Champions League grazie alla convincente prova di ieri sera contro lo Young Boys tra le mura amiche ma soprattutto grazie ad una trasferta approcciata in maniera fantastica dai nostri in terra spagnola contro il Valencia, in una partita vinta in inferiorità numerica per ben 60 minuti.

Nel mezzo di tutto questo? Il discorso di Agnelli a Villar Perosa. Discorso che alcuni, in estate, hanno trovato fuori luogo o non in sintonia con la classica umiltà operaista Juventina, dimenticandosi (pur citandolo in maniera raffazzonata di tanto in tanto o portandone la foto sul profilo social) che l'avvocato  era tutto tranne che un uomo che amava viaggiare a fari spenti o un uomo non amante della bellezza.
Quello di Andrea Agnelli è stato un discorso da manager con una chiara visione progettuale ma anche da presidente spavaldo, follemente innamorato della propria squadra. Un presidente desideroso di far compiere alla sua squadra uno step successivo: dalla fase del limbo a quella della grandeur.

Sarà un anno difficile, un anno dove dobbiamo passare dal sogno all’obiettivo. La Champions League deve essere l’obiettivo quest’anno. Deve essere la Champions, deve essere lo Scudetto, deve essere la Coppa Italia. Noi quest’anno dobbiamo veramente porci l’obiettivo di vincere tutto. Per raggiungere quest’obiettivo, e Max (Allegri, ndr) e lo staff lo sanno perfettamente, bisogna lavorare quotidianamente per arrivare alla fine dell’anno e raccogliere i frutti. Sarà un anno di nuovo estremamente difficile, pieno di passione e non vedo l’ora che inizi

Quando un presidente, che in questo caso rappresenta anche la proprietà in tutto e per tutto, parla così vuol dire che la mission aziendale non puo’ fare altro che mutare radicalmente.

Per quanto mi riguarda non credo sia un caso che questa Juventus, quella delle ultime settimane, stia cominciando a macinare anche mostrando il suo lato più seducente, più piacevole alla vista. 
E non credo che questo processo sia spiegabile solo e soltanto con l'innegabile miglioramento della rosa. Anche perchè ieri sera nessuno tra i neo-arrivati era in campo, se non consideriamo Bonucci che però di noi sa vita, morte e miracoli.
Eppure abbiamo visto qualcosa di diverso: abbiamo visto una squadra dominare nello stesso modo in cui domina da 7 anni in Italia.
Con la sicurezza nella singola giocata, con la consapevolezza di poter far gol in ogni momento, con l'idea di base che ci si può difendere anche in maniera diversa e accettare gli uno contro uno.

Si, amici, si può vincere e convincere. Vincere e giocare bene al calcio. E questa Juventus, la Juventus di una nuova era che formalmente inizierà con il nuovo CDA del prossimo 25 Ottobre, ha come obiettivo quello di primeggiare.
Sotto l'aspetto commerciale, industriale, finanziario e l'aspetto sportivo. Senza paure, senza scaramanzie, senza maniavantismi.

Ci riuscirà? Non è possibile dare una risposta oggi, ma l'aria a Torino è sicuramente cambiata.


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