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Qualcuno di cui fidarsi

Appello di un tifoso disperato al presidente Andrea Agnelli

Scritto da Fabio Villani  | 

 

Precisazione iniziale: con questa lettera/sfogo non voglio rappresentare nessuno se non il mio pensiero e la mia condizione di appassionato della Juventus Football Club. 

 

Caro Andrea,

ti scrivo parlandoti da tifoso a tifoso, perché so perfettamente che nonostante gli abbracci con Zhang, i tweet di complimento all'Inter per i suoi successi e nonostante l'enorme differenza sull'estratto conto mensile nel conto in banca, alla fin fine, io e te siamo due tifosi della Juventus.

Ti scrivo soprattutto perché chi segue questa squadra visceralmente la puzza di bruciato la sente prima: è una questione fisica.

L'avverti come un bruciore di stomaco, come un sentore psicofisico ti arriva prima degli altri. Perché certe cose le hai vissute, sai già come andrà a finire quando ne hai viste passare sotto i tuoi occhi.

Nessuno è in grado di prevedere una disfatta che sta per arrivare quanto un mal di pancia!

E proprio per questo la mia lettera verte su una questione di cuore (e di pancia, a questo punto) che va oltre la serata di ieri sera e la stagione di quest'anno. Va oltre la sconfitta, va oltre i trionfi, va oltre la singola partita e la singola competizione. 

Voglio parlarti di fiducia.

Quella che io avevo nei tuoi riguardi quando sei arrivato, sbarbato, e ti sei presentato con un semplicissimo “chiamatemi Andrea”.

In te rivedevo negli occhi una voglia di rivalsa contro tutto e contro tutti, una voglia di vincere. Una voglia di arrivare e farla finita con la gestione Secco/Blanc/Cobolli Gigli.

E ricordo ancora la tua conferenza stampa nel Gennaio del 2011 quando in un momento di difficoltà ti presentasti al microfono con la squadra che iniziava a stentare per dire a tutti: “Se anche il prossimo anno avremo questi problemi, allora ci sarà un problema. Ma noi sapevamo perfettamente la situazione che abbiamo ritrovato e se questa squadra è una macchina da 170 milioni, allora qualcosa si è inceppato. Altrimenti dovremmo stare tra le prime 8 d'Europa ed essere competitivi per il campionato”.

Arrivammo settimi ma nell'aria c'era qualcosa di diverso. C'eri tu. Qualcuno di cui fidarsi. 

E infatti dal successivo anno arrivarono le vittorie, i trionfi, gli scudetti, le grandi soddisfazioni, lo stadio nuovo, un pubblico pazzesco, un'atmosfera da stadio all'inglese che intimoriva tutti quelli che venivano a giocare a casa nostra. 

Sono passati tanti anni, siamo nel 2022 e mi spiace davvero con tutto il cuore dirtelo. Mi manca quell'Andrea Agnelli e soprattutto mi manca una figura di cui posso fidarmi. 

Non per i risultati, non per gli scudetti, non per le cavalcate in Champions. Si tratta proprio di un processo di identificazione in qualcuno che urla con me, tifa con me, si incazza con me. Qualcuno che ha a cuore la stessa mia passione e non lo status quo da mantenere. Ed è più importante di uno scudetto e di una vittoria, stiamo parlando di sentimento, di sentirmi rappresentato dalla squadra per cui faccio il tifo.

Eppure i momenti difficili anche negli anni delle vittorie ci sono stati: l'addio improvviso (o quasi) di Conte, qualche colpo di mercato sbagliato (che oggi ci fanno anche sorridere, pensiamo all'estate di Berbatov e Bentdner, all'affare Anelka, a Mauricio cuor di leone Isla), anche le finali perse (che non vanno celebrate o spacciate per trofei come qualcuno fa per propaganda, ma non vanno neanche sminuite, indicano un grande percorso stagionale).

Ma nonostante ciò io potevo fare come Paperino nel suo meme: andare a letto, rimboccare le coperte e pensare che alla fine sono nelle mani giuste. Di questa società mi posso fidare. Noi siamo una squadra che sta facendo le cose per bene mentre gli altri continuano a parlare del nulla.

Questa sensazione io (e forse altri) l'ho persa. Come se un rapporto di fiducia incondizionata si fosse rotto. E allora giù di mal di pancia, perché il tifoso la sente prima questa sensazione. Io la sento dal 2017, pensa. E mi son beccato pure dello stronzo, per tanti mal di pancia.

E lo stadio diventa da inferno per gli altri ad inferno per i nostri. Da pubblico affamato diventa pubblico da teatro (o meglio ancora un pubblico di tik-toker arrivisti, che sono lì per farsi un selfie…ma che ne sanno loro dei mal di pancia?) 

Dall'essere condotti in un'unica direzione ci ritroviamo divisi. Perchè ormai siamo stati divisi. Anche, se non soprattutto, dalle tue scelte.

Ma che senso ha volere un'immagine internazionale quando non riesci a mettere d'accordo nemmeno la tua gente?

 Che senso ha volere appassionati in giro per il mondo che simpatizzano per la tua squadra in modo blando, quando quelli che vorrebbero sputare sangue per te li stai facendo diventare totalmente apatici?

Te lo dice uno che anche negli anni di Delneri (oh Delneri, sì, Gigi Delneri, quello lì coi baffi che parlava strambo e veniva dalla Sampdoria e dal Chievo!) appena finita una partita non vedeva l'ora che se ne giocasse un'altra: anche solo per spirito di rivalsa per la domenica brutta che avevamo appena passato.

E invece mi ritrovo ora a sperare che la stagione calcistica della squadra che amo finisca. E finisca il più presto possibile. Ma come è possibile? Ma perché sono arrivato a tutto questo?

No, Andrea. Guardiamoci negli occhi, grande presidente: questa cosa qui non è la Juventus. Non è la Juventus che fa appassionare, non è la Juventus che fa incazzare o che da emozioni profonde. Nette. Sincere.

Questo lo può raccontare qualche lacchè o un tik-toker qualunque. Ma sia tu che io sappiamo benissimo cosa sia questa società.

E c'è bisogno di qualcuno di cui io (noi) posso fidarmi. Ancora una volta.

 

In fede, Fabio. Un povero scemo che tifa per la Juve.


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