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C'è vita alla Juventus dopo Allegri?

Considerazioni dopo il divorzio dall'allenatore livornese

 

A cura di Amnesyach

Non c’è solo il mercato per motivare un gruppo di persone e un ambiente.

A parlare è Fabio Paratici, la partita contro la Fiorentina è finita da poco, e con essa è arrivata l’ufficialità di una pratica mai stata in discussione da luglio. Ai più maliziosi non sarà sfuggita questa frase e si sarà provato a darne un’interpretazione.
Ora che la separazione con Massimiliano Allegri è stata ufficializzata, manca la scossa in panchina per motivare l’ambiente. Ma che ne sarà della Juventus?

La paura del cambiamento

I più vecchi vivono questa fase di incertezza con la paura del ritorno dei tempi di Maifredi. La gente vuole spettacolo e spettacolo vuol dire sconfitta. Ma forse dimenticano le prime tre stagioni di Conte, fatte di un’intensità agonistica e un gioco eccezionali.
I cinque anni di Allegri hanno generato un cortocircuito all’interno del tifo bianconero: l’impossibilità di coniugare vittorie e qualità del gioco. La storia dice altro. Chi gioca bene, aumenta esponenzialmente le proprie possibilità di vittoria. Il Napoli 17/18 di gran lunga più debole della Juventus è già stato dimenticato? È bastato mandare via Sarri per accorgersi della consistenza di quella squadra. L’estetica pura e fine a se stessa è ben diversa da un’organizzazione tattica in cui il singolo viene esaltato dal collettivo.
Il messaggio che passa all’interno di una frangia del tifo bianconero è: la Juventus senza l’allenatore che l’ha portata a undici trofei nazionali non vale nulla. I vari Dybala, Pjanic, Douglas Costa, Cancelo ecc non sono giocatori di qualità eccelsa.

Grazie e arrivederci

Le avvisaglie di una necessaria separazione emersero già dopo Cardiff ed esplosero la scorsa stagione, quando per la prima volta Allegri stava uscendo in Europa contro una squadra più debole. Ma l’harakiri degli Spurs, la successiva prova d’orgoglio a Madrid (unita all’assenza di Sergio Ramos) e la conclusione positiva del campionato hanno solo posticipato di un anno la decisione.

Agnelli in conferenza stampa enumera i trofei vinti da Allegri: cinque scudetti, quattro coppe Italia, due supercoppe. E poi nomina anche le due finali di Champions, perse.
Allegri, per evitare la commozione, non perde occasione di ripetere il teatrino cui ci ha abituato da un paio d’anni a questa parte e farsi beffe di qualche collega. Ma cos'è il bel gioco? Io non l'ho ancora capito, in tanti anni di calcio non sono riuscito a capire cosa significa questa cosa. Ci sono squadre che non vincono niente, qualcosa vorrà pur dire, non faccio nomi altrimenti viene giù tutto.
Allegri mente, è un allenatore che è diventato vittima del suo personaggio. Sa perfettamente cosa vuol dire giocare bene. Nella conferenza stampa di presentazione della sfida di settembre col Sassuolo disse che le squadre di De Zerbi giocano bene. La sua frustrazione nasce dai complimenti mancati l'anno scorso e dall’incapacità di saper coniugare vittorie con buon gioco. Attenzione buono, non bello. Poco male, a lui è richiesto di vincere e portare a casa i risultati. Giusto. Ma chi amministra deve saper vedere anche oltre, non solo agli aspetti di campo e alla sala trofei. E ricordarsi che gli scudetti consecutivi sono cinque, ma vanno contestualizzati. Vincere con le milanesi fuori dai radar ha ben altro peso.

Ma facciamo un passo indietro e lasciatemi prendere il giro largo.

Nel 2013/14, stagione precedente all’insediamento di Pochettino sulla panchina degli Spurs, il valore della rosa complessivo era stimato in 296 milioni (fonte Transfermarkt). Ora è 835,5 milioni. 
Ottobre 2015, Klopp prende il timone dei Reds. Valore della rosa precedente: 285 milioni. Ora è 950,50 milioni.
Banalizzare e ricondurre il tutto alla bravura dei due allenatori nella valorizzazione economica e sportiva della rosa sarebbe un errore, il calcio negli ultimi anni è mutato a velocità supersonica e con esso tutto il motore dei diritti tv, merchandising eccetera. Ma non si può neanche negare l’importanza dei due tecnici nell’aver esaltato e fatto esplodere le qualità dei vari Eriksen, Dele Alli, Kane, Coutinho, Salah, Firmino.
Klopp e Pochettino hanno una cosa in comune: nella loro esperienza con Liverpool e Tottenham hanno vinto szeru tituli (ancora per poco, almeno per uno tra i due). Diranno: non si possono paragonare le mele con le pere, fanno due sport diversi! È corretto. Motivo per cui Allegri, non avendo vinto nulla in Europa, va paragonato con chi non ha vinto nulla in Europa. Non con i Zidane, gli Ancelotti, i Guardiola, i Mourinho, i Simeone, ma con i Conte, i Klopp. 
Nessun dirigente d’azienda serio manda via un allenatore che gli valorizza il materiale a disposizione. Vincere è importante, ma altresì il patrimonio tecnico e finanziario della rosa lo è, a maggior ragione nel 2019. Un allenatore che non vince e non costruisce nulla ha vita breve. Ma a un allenatore che costruisce si concedono sempre attenuanti e proroghe per un tempo sufficientemente duraturo. Perché vincere trofei non è l'unica cosa che conta, per chi amministra. E lo testimonia il fatto che Agnelli citi le due finali di Champions nel palmares di Allegri. Quelle due finali, quei due percorsi fatti di partite giocate bene, hanno permesso alla Juve di sottrarsi dal novero delle outsider e sedersi al tavolo con le tre nobili: Real Madrid, Barcellona, Bayern Monaco.

L’eredità di Allegri

Antonio Conte ci ha portato al ristorante, Massimiliano Allegri ci ha fatto sedere.
La Juve presa da Allegri è profondamente diversa dalla Juve lasciata da Allegri. A quella squadra ereditata nel 2014 mancavano positività, calma e consapevolezza dei propri mezzi che il tecnico livornese ha saputo sapientemente instillare nell’ambiente. Ora che la consapevolezza c’è e la calma abbonda, come fu giusto prendere un gestore nel 2014 in seguito a tre anni intensi sotto la guida di un architetto, dopo cinque stagioni di calma è giusto riprendere un allenatore che insegni per principi. Sarebbe anche curioso vedere la reazione di Ronaldo, allenato quasi sempre da gestori, come si comporterà qualora la scelta dovesse cadere su un architetto.

Non c’è un giocatore offensivo che in questi anni di gestione Allegri abbia reso più di quanto valesse, a parte Dybala all’inizio della scorsa stagione, ma non per meriti tattici quanto per una condizione fisica stellare.
Cristiano Ronaldo per la prima volta dal 2010 ad oggi chiuderà la stagione con un bottino totale inferiore ai quaranta goal stagionali.

Daniele Adani, dopo Inter-Juve della scorsa stagione, sollevò una domanda interessante, che però non venne raccolta.
Credo sia lecito chiedersi se oggi le punte della Juventus siano così felici di fare le punte alla Juventus. Perché la Juventus gioca con le punte a 50 m dalla porta, questa è la verità. Higuain ha tirato dieci volte negli ultimi due mesi. Si è felici oggi a fare le punte alla Juventus? La Juventus delle otto squadre più forti d’Europa è quella che produce meno in fase offensiva, segna meno, tira meno e quindi Higuain perde il ritmo.

Con l’avvento della nuova stagione la situazione non è cambiata, se non per lo primo squarcio che ha illuso un po’ tutti. Questi non sono più i giocatori di Allegri. La cifra tecnica di questa rosa non può più essere schiava di un movimento senza palla lacunoso, una pressione alta insufficiente, un abbassamento del ritmo partita dopo essere passati in vantaggio, e un eccessivo ricorso alla giocata sicura. Tant’è che un giocatore come Pjanic non sa più verticalizzare.

Porterò per sempre nel cuore i primi tre anni. Ma gli ultimi due sono stati uno strazio per lo spreco qualitativo dei giocatori a disposizione, in cui l’arrivo di Cristiano Ronaldo e i primi tre mesi della stagione hanno rappresentato una flebile luce, ben presto spentasi.
La storia recente dice che in Europa vince chi propone e non pratica un calcio speculativo. Gli ultimi a riuscirci furono Mourinho nel 2010 e Di Matteo nel 2012. Ma di quell’Inter e di quel Chelsea non vi è rimasta traccia. 
Cosa rimarrà della Juventus di Massimiliano Allegri?
Se dovremo scimmiottare, scimmiotteremo. Senza paura, senza vergogna. 


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